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Agosto 2007

Spunti dallo scaffale

17/08/2007, Fabio → Segnalazioni letture | Commenti (0)

Si segnalano due relazioni recentemente inserite nella sezione Scaffale.

L'autore della prima relazione, presentata in un convegno tenutosi a Firenze nel 2004, è Roberto Bin.

Di particolare interesse sono i seguenti passaggi:
"....a nessuna assemblea elettiva conviene essere inefficiente, ingovernabile, incapace di rispondere in tempi ragionevoli alle esigenze prospettate dall'esecutivo. Il problema è cosa assicuri "efficienza" e, prima ancora, rispetto a che cosa le procedure assembleari debbano risultare efficienti. Il primo quesito è semplice: efficienza è anzitutto capacità di programmare i lavori e svolgerli nei termini previsti: se il compito dell'assemblea è produrre leggi, le leggi devono essere prodotte entro un termine ragionevole. Ma il compito di un'assemblea elettiva è "solo" produrre leggi? Nella risposta a questa seconda domanda è probabile che gli orientamenti dell'esecutivo e dell'assemblea divergano. Mentre è chiaro perché l'esecutivo sarebbe favorevole a circoscrivere l'ambito di attività dell'assemblea, meno chiaro è quale sia la direzione in cui converrebbe all'assemblea di cercare di espandere il proprio raggio d'azione. Proviamo a ragionare su questo nodo, che a me pare strategico.
Le assemblee elettive sono l'organo titolare della funzione legislativa perché sono "rappresentative".
Con l'elezione diretta, anche il presidente dell'esecutivo è "rappresentativo", ma lo è ad un grado diverso: il presidente rappresenta la sola maggioranza - anche se, appena eletto, si affretta a dichiarare che sarà "il presidente di tutti i cittadini". La teoria del monopolio legislativo parlamentare è strettamente dipendente dalle teoria della rappresentatività parlamentare, della pubblicità dei lavori, delle garanzie della minoranza. Tutto qua? No. La rappresentatività non è un titolo che si acquisisce tramite elezione, ma un risultato che si ottiene se si ha la capacità di rappresentare effettivamente gli interessi della comunità: non di rappresentarli in astratto (come certifica il "titolo"), ma in concreto, in relazione alle decisioni da assumere. Tutta la nostra filosofia politica, dalla lontana affermazione del principio della democrazia indiretta, alla moderna proclamazione del principio di sussidiarietà, è intessuta da questa convinzione, che non ci sono decisioni "giuste" che non siano prese considerando gli interessi della collettività a cui sono riferite.
Come fanno le assemblee elettive a conoscere e valutare gli interessi della "loro" collettività? Bastano le conoscenze e le virtù personali degli eletti? Naturalmente no......
" ".....Dentro le istituzioni, l'incapacità della politica è in buona parte imputabile alla scarsa attrezzatura di cui dispongono le assemblee elettive. Parlo genericamente di attrezzatura, ma in essa rientrano fattori di natura diversa.
Anzitutto non è concepibile che le assemblee elettive operino per progetti di legge e non per politiche pubbliche. Quale segmento di qualsiasi politica pubblica riescono a percepire le assemblee legislative? Lo schema tradizionale è che l'assemblea inizia ad occuparsi di un tema quando riceve il disegno di legge dell'esecutivo e inizia a svolgere il suo compito nel procedimento legislativo, prima in Commissione e poi in Aula, attraverso le tradizionali tre letture. Ma poi, licenziata la legge, chiude la specola e perde di vista le modalità con cui viene attuata la politica pubblica, nulla sa - sa in modo organizzato e non attraverso contatti sporadici e parziali - dei risultati che essa ha prodotto, di quanto è accaduto nel mondo reale a seguito della sua legge, se non ciò che cortesemente il ministro o l'assessore ha piacere di comunicare di tanto in tanto; un bel giorno si troverà però nuovamente ad occuparsene, in occasione del rifinanziamento della legge o perché l'esecutivo si riaffaccia per proporre degli emendamenti. È questo un ruolo attivo dell'assemblea, un ruolo che le consenta di svolgere la sua funzione di "organo di rappresentanza"?
No, è il ruolo tradizionale, scolpito dai regolamenti assembleari che hanno tutti origini ottocentesche. L'impianto è rimasto quello. Naturalmente non è sempre così e vi sono talvolta delle commissioni permanenti che riescono ad
estendere la propria visuale sulla realtà. E poi molte idee circolano, e talvolta si concretizzano anche in regole procedurali: come inserire meccanismi di verifica dei risultati nelle leggi più importanti (le c.d. clausole valutative), come svolgere le udienze conoscitive, come potenziare gli ausili tecnici alla legislazione."

La seconda relazione racconta come, nell'ambito di CAPIRe, si stia cercando di potenziare ruolo e funzioni dell'assemblea elettiva nella direzione indicata da Roberto Bin. Il titolo della relazione, presentata in un convegno tenutosi a Roma nel settembre dell'anno scorso è volutamente provocatorio: "Fare leggi o valutare politiche?"